by Jean Blanchaert
Da quattro anni ormai, al centro del mio lavoro sta l’alto artigianato europeo contemporaneo.
Nell’autunno del 2016 fui convocato da Alberto Cavalli, direttore della Fondazione Cologni, nella loro sede milanese. Alberto Cavalli è anche direttore esecutivo di Michelangelo Foundation for Creativity and Craftmanship. Mi propose, e io accettai subito, di curare la sezione Best of Europe della prima edizione della mostra Homo Faber: Crafting a more human future, tenutasi alla Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio, a Venezia, nel settembre 2018. Da allora, ho visitato centinaia di botteghe artigiane in quasi tutti i paesi d’Europa. A volte, trovare un pezzo degno di essere esposto in mostra e rappresentare una nazione, è stato arduo. Dico questo perché, se ci vogliono una trentina di paesi europei per mettere insieme una grande mostra artigiana di alto livello, in realtà, la grande mostra artigiana di alto livello, la Toscana, potrebbe farsela da sola. Le regole di Homo Faber però sono diverse, ed è giusto che sia così, anche per sostenere gli artigiani di paesi a volte dimenticati, ma non meno europei di Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra e così via.
Dal marmo all’alabastro, dal cristallo al corallo, dal legno alla madreperla, dalla pelle al tessuto, dal gesso alle piume, dalle pietre dure alla carta, dal bronzo all’argento, dal ferro alle spezie, dalla ceramica allo smalto, dall’oro al vetro. Questi materiali, ancor’oggi, nel terzo millennio, sono di grande attualità e costituiscono il nucleo attorno al quale operano botteghe di valore eccelso nel campo della scagliola, del commesso fiorentino, della miniatura, del mosaico, del ferro battuto, dei cesti, della pelletteria, del gioiello, della rameria, dell’intaglio, della profumeria, della doratura, del restauro contemporaneo e, ovviamente, anche del grande restauro classico.
A Firenze, in Oltrarno, dalle parti di via delle Caldaie e nei quartieri di San Frediano e di Santo Spirito, operano ancora artigiani talmente esperti che i loro clienti vengono da tutto il mondo. I loro indirizzi bisogna conoscerli e chi li deve sapere, li sa. Un antico passaparola vale più di mille social.
Pezzi unici, opere firmate in serie limitata, frutto di una sapienza inimitabile e di un lavoro che non tiene conto dell’orologio, finiscono negli arredamenti più raffinati nelle case e negli alberghi di cinque continenti e anche in collezioni d’arte private e nei musei. La preziosissima scagliola, detta “marmo dei poveri”, per esempio, arreda dimore che di povero non hanno nulla. Bianco Bianchi ha spedito i suoi tavoli a Kensington Palace, dai principi di Kent, dove sono stati notati dal sultano del Brunei, che ha subito ordinato un tavolo di quattro metri per la sua residenza londinese. Gianni Versace nelle sue case in Italia e in America aveva ben quaranta tavoli in scagliola di Bianco Bianchi e uno dei più grandi collezionisti del XX secolo, Robert de Balkany, già consorte di Maria Gabriella di Savoia, non si era fatto sfuggire le opere dello scagliolista fiorentino, che peraltro si trovano anche a Clarence House da Carlo d’Inghilterra, a Parigi da Farah Pahlavi già imperatrice dell’Iran e al Quirinale dal Presidente Mattarella.
A Colle di Val d’Elsa, ogni giorno, c’è un via vai di artisti contemporanei che vengono alla Collevilca per realizzare le loro opere in cristallo. Altri lavori della cristalleria sono in vendita anche in un negozio di Los Angeles dove gravita mezza Hollywood. Nella città di Corning, nella contea di Steuben, c’è la più importante fabbrica di cristallo del mondo. Cinque anni fa, la Steuben Glass appaltò a Collevilca molti lavori, dichiarando esplicitamente in questo modo la grande stima per la manifattura toscana. Nel palazzo dell’emiro di Dubai, ogni volta che i figli si sposano si brinda coi bicchieri di cristallo di Colle di Val d’Elsa. La stessa cosa avviene in numerose dacie della nomenclatura russa. Il commesso fiorentino degli Scarpelli Mosaici è ben conosciuto in Texas e arreda le sale di un museo privato di Dallas che preferisce rimanere anonimo. Le creazioni Scarpelli si trovano oggi in una galleria di Londra, a Buckingham Palace e ad Atene nella collezione di un armatore greco. Gli orafi Pestelli, ormai alla quarta generazione, per tradizione, servono le case reali. Fra le due guerre, i Savoia, i reali di Romania, il vice re d’Egitto e il Vaticano. Più recentemente, il duca d’Aosta, i principi del Liechtenstein e i granduchi del Lussemburgo. I loro centrotavola-sculture diventano protagonisti assoluti della tavola reale.
Questi sono soltanto quattro esempi che dimostrano quanto lontana e in alto sia giunta l’eccellenza toscana. Potrei andare avanti, ma ci vorrebbero cento pagine.
Se a Londra gli artigiani sono protetti e cullati dal Craft Council e aiutati dal QEST (The Queen Elizabeth Scolarship Trust), se a Parigi, Ateliers d’Art de France e l’INMA (Institut National des Métiers d’Arts) sono un punto di riferimento per i maestri d’arte, Firenze, non è da meno. Posso dirlo perché da ben dieci anni sono amico e consulente di ARTEX – Centro per l’Artigianato Artistico e Tradizionale della Toscana, attivo a Firenze dal 1987, che grazie a innumerevoli esposizioni in Italia e all’estero ha mostrato al mondo l’incredibile teatro dell’alta tradizione artigiana toscana.
Ho avuto l’onore di essere il curatore della mostra Equilibri organizzata da ARTEX, che ha rappresentato il nostro paese a Révélations, al Grand Palais, a Parigi, nel 2015, con un successo straordinario. Per capire l’importanza del lavoro di ARTEX basti dire che il suo Coordinatore è attualmente Presidente del World Crafts Council Europe.
Voglio ricordare una personalità scomparsa recentemente: Philippe Daverio. Quante volte, in questi ultimi quindici anni, in cui ha diretto Art e Dossier, ci siamo trovati alla Giunti, in via Bolognese e abbiamo parlato del miracolo Firenze, della sua unicità nel mondo dell’arte, figlia del grande, inimitabile, millenario, artigianato toscano.